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  • In cerca di vita

    In cerca di vita

    di Lorenzo Frizzera

    Per lo sviluppo del prossimo segmento della mia composizione musicale, incentrato sul conflitto e la guerra, ho pensato di ideare una variante del famoso Gioco della Vita di Conway adattandola al pianoforte.

    Il Gioco della Vita

    Il Gioco della Vita di Conway è un automa cellulare ideato dal matematico John Horton Conway nel 1970. Esso si svolge su una griglia dove ogni cella può essere viva o morta, secondo regole molto semplici: una cella viva con due o tre vicine vive sopravvive, mentre negli altri casi muore per solitudine o sovrappopolazione; inoltre, una cella morta prende vita solo se ne ha esattamente tre vicine vive.

    Fonte: https://www.datawrapper.de/blog/game-of-life

    Nonostante la semplicità delle regole, il gioco genera comportamenti complessi e sorprendenti, che includono strutture stabili, oscillatori e “navicelle” che si muovono nello spazio ed è quindi un celebre esempio di come da regole locali elementari possano emergere fenomeni globali intricati. Ma come trasportare tutto questo in note musicali?

    Cicli infiniti

    Innanzitutto sono partito dalla forma più semplice: due note adiacenti, diciamo C e D, che potevano essere attive o inattive; inoltre, essendo solo due, potevano avere una sola nota vicina, anch’essa attiva oppure no. Poi ho creato un semplice programma con l’AI, o Intelligenza Collettiva (IC), come la chiamo io. Naturalmente non ero interessato alla qualità sonora in questa fase e ho utilizzato i suoni più grezzi disponibili, ripromettendomi di suonare le sequenze su veri strumenti musicali in fase di registrazione. Questo è stato il risultato (ruota o scorri su mobile per visualizzare tutto):

    Puoi sperimentare pure tu cliccando sui quadratini con il nome delle note e poi dando lo start. Se vedere a tutta pagina qui trovi il link diretto:

    Dopo pochi tentativi ho capito però che ogni opzione si esauriva in una forma periodicamente stabile.

    Così ho esteso la struttura a dodici note, aggiungendo a questo punto anche la possibilità che una nota avesse due vicini attivi:

    Anche in questo caso, sebbene in forma più complessa, dopo un po’ mi è risultato chiaro che qualunque configurazione iniziale era condannata a scomparire dopo poco o a rimanere imprigionata in un ciclo perpetuo di morti e rinascite, infinitamente uguali a se stesse, come in una sorta di samsara musicale.

    Mi sono così ostinato a liberare le note e portarle al nirvana ampliando la rete delle loro possibili interazioni e distribuendole sue due piani: quello delle note nere e delle note bianche. Così facendo ogni nota poteva avere da zero a quattro vicini attivi.

    In questo contesto, per motivi che rientrano nella mia simbologia musicale e che spiegherò più avanti, le note F e B non erano né bianche, né nere e così non le ho inserite nel progetto.

    Meccanica e destino

    Arrivato a questo punto ho definitivamente capito di essere andato nella direzione sbagliata: ero infatti caduto nell’equivoco dovuto al nome che Conway diede al suo automa cellulare, poiché in realtà a questo gioco mancano due tratti essenziali della vita: il destino e la libertà.

    Perfino la vita animale non può sottrarsi al proprio destino, del tutto imponderabile e indeterminabile, frutto del caso o del disegno di un ente superiore. In aggiunta a ciò la vita umana sembra dotata di una libera volontà che intende modellare e trasformare quel destino. Ebbene, l’interazione di queste due forze è del tutto assente nella vita di questi automi cellulari in cui le note sopravvivono e si riproducono in modo totalmente predeterminato, senza alcuna libertà e senza alcun motivo, se non quello di rispondere ad un algoritmo in modo coerente. È in sostanza un gioco della vita meccanica. Un ossimoro.

    Avevo creato un mondo matematico da cui trarre musica anziché trasferire la mia visione del mondo in musica, tramite la matematica. Avevo creato un gioco meccanico anziché trasformare le note in un simbolo, in un’allegoria.

    Per far sfuggire le note al loro rigido determinismo, avrei dovuto introdurre ancora più complessità, più piani, più variabili. A quel punto avrei anche potuto tradurre direttamente il gioco di Conway su un reticolo di note, un esercizio inutile, che quindi ho puntualmente eseguito:

    Ma questo è il gioco delle nuvole. Forme caotiche, spinte da un tale numero di variabili e di parametri che risulta impossibile determinarne con esattezza la forma e la posizione. È ancora vita meccanica, sebbene ad un livello di complessità maggiore.

    A me interessava la vita umana. Ed è quello di cui mi sono occupato a partire da quel momento e di cui scriverò nei prossimi giorni.


    Per ascoltare e conoscere le prime due parti della mia composizione puoi vedere su YouTube i relativi video:

    01 – Il gioco della musica: vincere o giocare?

    02 – Il gioco della musica: ho creato una composizione palindroma

    Oppure ascoltarla direttamente su Spotify:

    https://open.spotify.com/playlist/5gj1NIfafZGAHwUD1deXS4